5-3 venerdì

Oggi niente sala. Giro visite con i chirughi e gli anestesisti stanziali, rappresentati da Some: Kinda oggi non è tanto in forma. L'ingegno e il lato umano di questa gente continuano a stupirmi: mancano i set di lavaggio vescicale? Si riempie in continuo una flebo vuota con acqua e betadine. I locals dicono che le infezioni sono rarissime. Per ogni paziente ci sono uno o due parenti che lo assistono. Dormono per terra, accanto a lui. Cucinano per lui (menu dell'ospedale: lunedì riso, martedì riso, mercoledì yogurt e couscous, giovedì miglio, venerdì pasta, sabato e domenica niente..), e soprattutto vanno a comprare per lui la terapia. Non soltanto le medicine, ma proprio tutto: siringhe, cotone, disinfettante, guanti. Quando si imposta la terapia occorre davvero pensare a tutto, una piccola dimenticanza può inceppare un meccanismo già piuttosto laborioso. Se ti cade una fiala, ti si tappa l'ago di una siringa, ti si coagula un'agocannula sei fatto. E così succede che una quindicenne possa morire di tifo, perché i genitori non hanno i soldi per comprarle l'antibiotico. Sempre per lo stesso motivo l'ospedale è un turbinio di colori: le lenzuola non esistono, ognuno si porta da casa dei pagno, coloratissimi teli di cotone multiuso: lenzuola, pigiama, gonna, camicia, saccoletto, fascia, portabambino, e ogni letto ne sfoggia diversi. Le persone ti accolgono con un sorriso, sono i pazienti a chiederti per primi come stai e difficilmente si lamentano. Comincio ad abituarmi alla loro gestualità, a quello strano modo che hanno di schioccare la lingua per dire sì. La cosa più buffa è l'intreccio linguistico: mi sentivo al sicuro col francese, ma molti parlano solo morè, la lingua mossi, prevalente nel paese, salvo i moltissimi esponenti delle varie minoranze linguistiche. La maggior parte parla più lingue e si procede per tentativi, fino a trovare quella comune. Alcuni si portano dietro un interprete. In altri casi è il vicino di letto a dare una mano, in ogni caso la soluzione si trova sempre. Quel che è sicuro è che tutti ti sorridono, la maggior parte ti benedice. Oltre le zanzariere delle finestre, butto lo sguardo sul mondo nel mondo dell'ospedale, il suo indotto: qui le centinaia di accompagnatori lavano, stendono, cucinano, chiacchierano, giocano, guardano la tivù.

Il pomeriggio scopro i primi due magazzini, con la loro preziosissima scorta di nutrizione parenterale: il pensiero corre a Bissirou, il “mio” ventottenne denutrito. Forse ho trovato il modo per rendermi utile.

Dopo faccio finalmente la conoscenza con il villaggio e i suoi bimbi: impazziscono per i miei capelli, non riescono a credere che, lisci e lunghi, siano veri, e quando commetto la leggerezza di invitarli a toccare, mi trovo otto piccoletti appesi alla testa. A questo punto tocca a me chiedere come diavolo fanno a portare qualunque cosa sulla testa senza farla cadere: inizia un allenamento forzato con i quaderni, interrotto solo dal furto degli stessi. Non ho mai conosciuto nessuno che avesse rubato un quaderno.