7-3 domenica.

Kinda sta meglio, è sfebbrato e rifiuta il chinino. Così mi spingo fino alla chiesa del villaggio, per sentire la messa. Sarà da quando avevo sei anni che non ci andavo più. Questa però è speciale, tutta in morè, anche se a officiarla è don Pietro, che dopo 36 anni di Burkina di italiano ha conservato solo la passione per Claudio Abbado. Non capisco granché, ma è veramente incredibile. La chiesa è rotonda, con l'altare al centro e intorno dei gradini tipo anfiteatro. La gente, entrando, si porta una panca  su cui poi si siederà. Han tutti un vestito elegantissimo che di solito consiste in uno sgargiante completo con motivi geometrici su cui campeggiano scritte di ogni tipo: “vieni, Spirito Santo, entra nel cuore dei tuoi fedeli”, “le donne e le ragazze sono la vera forza del Burkina” “Telcel, telefoni in tutto il Burkina” “davanti a un così grande mistero prosterniamoci e adoriamo il Signore”, ecceterà. Molti portano quegli stessi abiti anche nel quotidiano. Provo a trasportare la stessa scena in Italia, mi vedo al mio ritorno entrare in banca per un bonifico, accolta da un gentile e serissimo impiegato con una camicia verde a cerchietti bianchi e gialli che fan da sfondo a una moltitudine di fumetti che ripetono “Buon Natale, oggi Dio si è fatto carne per noi”. Sarebbe fantastico. Spesso da noi al momento dei canti i preti attaccano una cassetta, perché altrimenti cadrebbe il silenzio. Qui ci sono due cori che si sfidano, entrambi a due voci con tanto di direttore, più una serie di outsider che si fan sentire dalle retrovie. Ovviamente accompagnati da un'orchestra di percussioni. La cosa incredibile è che sono tutti intonati. A metà messa, dopo circa un'ora, la cerimonia si interrompe per un momento di pubblicità: due distinti signori salgono sul palco ed esibiscono due pagni preparati apposta in occasione della festa di Pasqua. Si enunciano i prezzi e le tariffe del sarto.

Al ritorno in comunità però le notizie non sono buone: Kinda è  peggiorato. La febbre è tornata. Riprendo l'accesso venoso. Ci organizziamo per quantificare la diuresi, ma già fa fatica a urinare, nonostante il diuretico ad alte dosi e la robusta idratazione. Aggiungiamo il mannitolo, diventiamo più aggressivi col cortisone, a forza di rovistare nei magazzini troviamo due flebo di chinolonico. La creatinina è salita a 7. dopo ghiaccio, stracci bagnati, paracetamolo, cortisone, il nostro miglior risultato è 39,8 esterna. L'anuria persiste. L'unica speranza è l'emodiafiltrazione: bisogna accompagnarlo a Ouaga. Si rincorrono le telefonate, per organizzare sin da qua l'assistenza, poi parte l'ambulanza. Lo accompagnano Somè, père Henri, frère Sorgho, Yeyè. Ricevo un sms: tutto va bene, tra poco arriviamo.

E invece dopo due ore arriva la telefonata: Gaétan Kinda, “the King”, è  deceduto all'ospedale universitario di Ouaga, mentre i suoi amici e colleghi attraversavano di corsa la città per comprare le provette per gli esami del sangue in un laboratorio privato, visto che il laboratorio dell'ospedale non è più agibile dopo l'inondazione di settembre scorso. Lascia una moglie, quattro figli e un grande vuoto nel cuore di chi l'ha conosciuto, anche solo per pochi giorni.