4-3, giovedì

Dovrebbe essere il primo giorno, il padre mi ha raccomandato di riposarmi e io ho dormito circa 4 ore, ma preferisco far colazione insieme agli altri. E poi il mattino fa fresco e mi incuriosisce una strana pianta carica di pallini rossi, stile albero di Natale fuori stagione, che scambio subito per un corbezzolo gigante (ci resterò malissimo quando mi spiegheranno che si tratta di fiori e che i frutti sono dei micropallini verdi ben ben più insignificanti).

Ho appena il tempo per far conoscenza con Luca, il latte in polvere e la marmellata di guyava, che mi trovo catapultata in sala operatoria, dove Some e Ato stanno sapientemente spinalizzando un paziente ciascuno. Qui la volontà e l'ingegno superano ogni carenza: manca il telino sterile? C'è la carta dei guanti. Manca l'introduttore? Ecco dei pratici aghi gialli in confezione singola. Per un attimo penso con vergogna a me poche settimane fa, quando mi ero lamentata per la mancanza di guanti sterili della mia misura. Ma mi distraggo in fretta, perché Some mi sta già chiedendo della bupivacaina iperbarica, degli adiuvanti nella rachianestesia, dell'anestesia combinata e dei potenziali vantaggi dei blocchi con elettrostimolatore. Non ho mai visto nessuno con tanta voglia di imparare. Ho solo il tempo per buttare un occhio dall'altra parte del telo dove il père Henri, laureato in medicina a Roma 2 anni fa, sta ultimando un'adenomectomia prostatica senza elettrobisturi negli stessi tempi e con le stesse perdite di sangue dei suoi colleghi specialisti urologi europei. Dopo 2 ore nessuno si è ancora lamentato della luce e non ho ancora sentito una parolaccia, mentre si danno gli ultimi punti l'équipe discute animatamente di un programma televisivo della sera prima: non è zelig, bensì un filosofo burkinabè che una sera a settimana espone le sue teorie in tv. Comincio a sognare una sorta di deportazione con stage forzato dei più floridi tra i nostri specialisti chirurgici.

Il pomeriggio continua a ritmi serrati come il mattino, ci si organizza per ottimizzare i tempi. Questa volta mi dedico alle anestesie generali, dove sono meno ferrata, vista la mia scarsa esperienza con alotano, diazepam, ketamina, pancuronio, jolly 2... il tutto “al buio”, già che non esiste un monitoraggio degli espirati. Fortuna che c'è Kinda, rapido, gentile, efficace, che mi spiega tutto, senza neanche farmi sentire un'idiota. È piuttosto affezionato ai suoi protocolli, ma comunque sembra ben disposto ad ascoltare le mie uscite, per quanto a sproposito. Insorge solo quando chiudo gli occhi al paziente con un cerotto sulle palpebre superiori, senza coprire le ciglia: l'uomo è uomo, non va truccato, nemmeno quando dorme. Altrimenti perché la natura l'avrebbe dotato di voce roca e aspetto virile? Mi arrendo all'evidenza e ingoio amaro mentre addormento un ventottenne che pesa trenta chili e ci ringrazia per quanto stiamo facendo per lui. Concludo la giornata incannulando un bimbo di neanche 7 anni che è riuscito ad amputarsi l'indice con un'ascia mentre faceva legna.. guadagnandomi così il suo odio imperituro. La sera, giro visite con père Henri, che riesce a trovare il tempo e le parole per tutti, rinunciando ad ascoltare la  propria stanchezza. Altro che insegnare, stando a quel che ho visto sinora, qui c'è solo da imparare.

 

Comincia la missione di Maria, con questo primo di molti report entriamo nella sua esperienza africana...

 

3-3 h2115

L'Africa si fa sentire sin dall'atterraggio: scendiamo dall'aereo e il caldo fa subito sembrare ridicole le nostre giacche, le maglie di lana e le scarpe pesanti. Mi preparo a una lunga attesa al controllo passaporti, che si rivela in realtà piuttosto informale, con uno scambio di numeri di telefono finale, in cui finisco per dare al doganiere, come già a Daniele, il mio unico contatto in Burkina, ovvero il cellulare di père Henri, di cui peraltro non conosco nemmeno il cognome. Per un attimo mi diverto a immaginare un ufficiale in divisa che viene a cercarmi nella brousse, chiedendo di tanto in tanto ai passanti dove può trovare una nazara (i bianchi qui li chiamano così) in compagnia di un misterioso prete cattolico. Poi vengo travolta dal circo della caccia alla valigia. Mi maledico per non aver acquistato una valigia di un colore impossibile, anziché un grosso trolley nero, assolutamente uguale a quello di tutti gli altri, e mi rassegno a girare  da un lato all'altro del punto di consegna man mano che i bagagli sono scaricati a mano, trascinandomi dietro una micidiale valigia rossa, mentre mi faccio largo nel mucchio di gente che sta facendo esattamente lo stesso. Recuperato il malloppo (nutella+parmigiano+tante altre cosette molto meno importanti), mi avvio all'uscita, cercando di richiamare alla mente la faccia del père. Non ci avevo pensato: al buio i neri sono difficili da vedere, figuriamoci da riconoscere. Oltretutto il buon padre si è nascosto per godersi la scena, ed esce allo scoperto solo quando i tassisti improvvisati che mi si propongono diventano soverchianti.

Il resto del viaggio è una corsa in pick up attraverso la periferia della città  e poi lungo una strada che attraversa la savana. Il primo tratto è  illuminato: sotto ogni lampione c'è un ragazzo che studia. Al secondo villaggio giriamo a sinistra e lasciamo l'asfalto per la terra battuta. Scopo del gioco è avvistare i barrages (guadi asfaltati più o meno improvvisati di una serie di fiumare in secca), prima che loro ti facciano capottare fuori strada. Il mio accompagnatore sembra piuttosto ferrato in materia e così a mezzanotte e mezza approdiamo all'ospedale di Nanoro. Il profumo delle acacie in fiore è qualcosa di indescrivibile: quando finalmente raggiungo la mia stanzetta sono stanca, ho caldo, ma sono felice.

 

Ciao a tutti!! Vi scrivo da casa... Il viaggio di ritorno è stato lunghetto, ma è andato bene, i bagagli sono tutti qui con me e le due o tre cosette che in viaggio avevano smesso di funzionare con l'aria di casa sono ripartite serenamente. Ieri mentre dormivo a Casablanca, ho prodotto un'altra puntata della telenovela...24 novembre (16° e ultimo giorno a Nanoro)Ebbene sì, l'ultimo giorno è arrivato. È una sensazione strana, tutto assume un significato decisamente più grande, tutto, anche le piccole cose di ogni giorno: aprire le tende al mattino, ritrovarsi per la colazione, cose che hai sempre fatto quasi con disattenzione, diventano preziose. Davvero vale la pena vivere ogni giorno pensando che sia l'ultimo, se l'effetto è questo!Stamattina manca l'acqua, un bel problema! Non solo per lavarsi e fare i propri bisognini, ma anche per la sala operatoria: ci si lava anche lì e per sterilizzare i ferri senz'acqua le cose si complicano decisamente.Nonostante la siccità, l'attività della sala operatoria va avanti. Ad un paziente a cui devono mettere un fissatore esterno al femore faccio un blocco del nervo femorale, Somè potesse si filmerebbe tutta la procedura, mai visto uno così felice di imparare. Mi ha fatto tutto un discorso in francese sull'importanza che lui attribuisce all'anestesia loco-regionale: non ho capito tutto quello che ha detto ma non posso che essere d'accordo.Ai ragazzi della sala operatoria ho regalato il cavetto per collegarsi ad internet, così hanno la possibilità di studiare un po' anche da lì, ho trovato un po' di siti ben fatti di anestesia in francese, sono tutti molto contenti. Ci ho pensato dopo, ma in effetti per essere un vero anestesista, durante gli interventi bisogna navigare in internet!Dopo pranzo è arrivato il momento dei saluti. La cosa più difficile è stato trattenere i lacrimoni, mi spiace veramente un mucchio lasciare tutta questa brava gente.Mentre aspettavo Henri che tornasse da Ouaga, ho pensato che avevo fatto poche foto, ho preso la macchina e ho cominciato ad aggirarmi per l'ospedale: poi ho capito. Non ce la faccio a fotografare malati e parenti, non mi sembra giusto, anche perchè mentre li fotografi non puoi guardarli e sorridere, non puoi salutare i bambini, non puoi aiutare nessuno. Mentre passeggiavo sono passato davanti alla camera del paziente amputato di spalla e sono passato a vedere come stava. Ho tentato di spiegargli che era il mo ultimo giorno lì e che sarei tornato in Italia: non finiva più di ringraziarmi, di augurarmi buon viaggio e a momenti non riuscivo più a venir via. Le lacrime hanno vinto loro...Sono decisamente felice di essere riuscito a salutare tutta la comunità di camilliani che mi ha ospitato, andare via senza salutare Henri sarebbe stato veramente brutto. In questo periodo mi sono sentito veramente accolto come un membro della famiglia: altro che ospite, mi sentivo a casa, in queste settimane ho guadagnato anche un certo numero di padri e di fratelli! Mi hanno fatto dei regali bellissimi, ricordi splendidi di questa esperienza, che si aggiungono a tutti quelli che ho nel cuore.Alla fine è venuto il momento di partire: padre Lassarre mi ha accompagnato fino a Ouaga, dove abbiamo cenato con la comunità della parrocchia. Io volevo ringraziare per la cena e loro ringraziavano me: le stranezze non mancano mai! Abbiamo anche salutato la comunità del centro medico di Ouaga e poi a nanna, perchè la partenza intelligente con la compagnia marocchina è prevista alle 3.40 del mattino!Dimenticavo un fatto dei viaggi a Ouaga: tutta la strada ovviamente non è illuminata, tranne arrivati a Ouaga, dove si paga il pedaggio. Bene, qui, alla luce dei lampioni, ci sono dei ragazzi che studiano, perchè non hanno la luce in casa e quindi approfittano dei lampioni. Stessa cosa arrivati in parrocchia a Ouaga: alla luce dei lampioni ci sono ragazzi che studiano. Per noi avere una lampada e una scrivani è una cosa assolutamente scontata, adesso che torno a casa apprezzerò di più anche quello.Il viaggio di andata si è distinto per i bagagli in ritardo. Quello del ritorno per ora va benissimo: scrivo da una camera di un albergo fuori Casablanca, a circa 10 minuti dall'aeroporto, dove non pago una lira, ho colazione, pranzo e cena e ho intenzione di dormire tutta la giornata vicino alle mie valigie arrivate senza problemi, in attesa che arrivino le 6 di domani e si riparta per Torino.

 

Un abbraccio grande a tutti.Domani sera a quest'ora mi starò preparando per andare in aeroporto e mi sa tanto che questa è probabilmente l'ultima puntata della telenovela burkinabè scritta in Bukina. Già non ho fatto molto, quel poco è anche frutto vostro, che da casa mi avete fatto sentire meno solo! Vi ringrazio di cuore!22 novembre (15° giorno a Nanoro)bene, mi sa tanto che è arrivata la fine dell'avventura. Oggi mi sono improvvisamente reso conto che parto sì il 25, ma alle 3.30 del mattino, quindi praticamente il 24 notte: domani!! Mi è caduto il mondo addosso, ma poi mi sono ripreso, d'altronde lo sapevo, è una bellissima parentesi, ma la mia vita è un'altra.Oggi in teoria niente sala operatoria, in pratica abbiamo messo su un cesareo urgente e un paziente con ferita all'addome causato da una bottiglia, ma niente di che. Stamattina ho dato una mano a Maurizio con l'ambulatorio di ortopedia, dopo un rapido giro ai malati. Ho rimosso il cateterino del paziente con amputazione di spalla, che mi ringrazia ogni volta che passo da quelle parti. Oggi ha cominciato ad alzarsi ed è una bella soddisfazione. L'hernie du siecle è ancora vivo, e questo è strano, ma va bene così. Mi fanno una tenerezza incredibile, e vorrei abbracciarmelo tutti, ma ne andrebbe della mia professionalità. Lo faccio con lo sguardo, lì non può dire niente nessuno.Perre Henri è a Ouaga con una banda di italiani per qualche congresso, domani mi toccherà partire nel pomeriggio e non so neanche se riuscirò a salutarlo, un grande peccato e un motivo in più per tornare. Sono tutti molto dispiaciuti del fatto che torni già a casa e mi hanno detto che due mesi sono pochi, ma io sono stato qui solo due settimane!! Forse è il segno che qualcosa ho combinato. Meno male...Cominciare a salutare tutti è difficile, e il pensiero di fare la valigia domani è pesante, ma probabilmente anche in questo sta il gusto della cosa: se fosse la normalità avrebbe un altro sapore!Penso che ci metterò un po' a rielaborare tutto quello che ho in testa, tra immagini, idee, profumi, sguardi, puzze, panorami, alberi, villaggi, malati, anestesie, bambini, stoffe, sarti, mercati, pedalate e discorsi con Perre Henri e così via. Chissà se verrà fuori qualcosa di buono. Sicuramente torno a casa decisamente arricchito, con uno sguardo nuovo sul mondo e con tanti amici in un paese lontano sulla cartina ma non nel cuore. Spero che sia un'esperienza che duri e che porti buoni frutti.

 

Spero abbiate trascorso un'ottima domenica... noi sì!!

Un grosso abbraccio da Nanoro

22 novembre (14° giorno a Nanoro)     Oggi è domenica, giorno del Signore e del riposo. Colazione con yogurt e nutella e poi messa alla chiesa di Nanoro. Che dire: chiesa strapiena e stracolma, piena di gente con abiti colorati ed eleganti, un mucchio di bambini, canti, tamburi, veramente uno spettacolo. La messa è decisamente lunga, anche perché ci sono un sacco di canti e per la maggior parte è celebrata sia in francese, sia in morè. Il risultato è che aumenta la lunghezza ma io ci ho capito poco comunque. Nel frattempo ho avuto modo di pensare a come per noi la messa sia una cosa abbastanza codificata e che invece paese che vai messa che trovi, penso che Dio si diverta veramente un sacco a vederne sul serio di tutti i colori, e oggi ho avuto la chiara dimostrazione che la diversità è senza dubbio una ricchezza. Tanto per cambiare anche oggi da una cosa decisamente semplice ho tratto una bella lezione.Oggi è di nuovo giorno di mercato, fra l’altro di domenica, quindi di mercato grande. Qui a Nanoro il mercato è un giorno sì e due no e quando capita di venerdì (giorno della grande preghiera per i mussulmani) o di domenica (festa per i cristiani), il mercato diventa decisamente più importante. È la terza volta che ci gironzolo e ho cominciato a orientarmi e a capirci qual cosina di più, ho comprato altre stoffe veramente carine e un paio di altre carabattole. Ho trovato anche un portafoglio di pelle da 1000 franchi sefa (1,4€): lì per lì non me ne sono accorto perché nel mercato sentire gli odori è un’impresa, ma puzza di capra morta in una maniera invereconda. Ho provato a lavarlo ma mi sa che non cambia un granchè, speriamo bene. Sono anche passato dal sarto a ritirare l’abito: beh, niente da dire, ha fatto veramente un gran bel lavoro, anche se sono curioso di sentire i commenti di amici e parenti.Tra cooperanti, universitari di Firenze, medici e altri visitatori il nostro refettorio oggi a pranzo sembrava più una tavolata della Festa dell’Unità, gran pranzo della domenica e poi una mitica pennichella: ne avevo proprio bisogno.Ritemprato dal sonnellino, giro pomeridiano dei malati, che vanno tutti abbastanza benone. Il mio paziente del cateterino va alla grande, domani togliamo anche il drenaggio e cominciamo a farlo alzare, l’hernia du siecle è ancora vivo, ed è già una conquista, e il matusalemme della prostata pure. Con gli amici di Torino che sono qui abbiamo discusso un po’ sui possibili sviluppi della nostra missione qui e sono venuti fuori aspetti interessanti, abbiamo da proporre un po’ di cose ai padri camilliani e soprattutto sentire da loro cosa ne pensano e di cosa hanno realmente bisogno. Anche perché qualsiasi cosa proponi loro dicono di sì, e in effetti per loro è sempre un guadagno, ma varrebbe la pena riuscire a concentrarsi su quello che veramente può essere utile, invece di fare cose a muzzo. Stasera relax, riesco a rimettere insieme un po’ di idee e a cominciare a ordinare la catasta di emozioni ed esperienze che ho accumulato in questi giorni, mi sa tanto che mi ci vorrà un po’ per fare un po’ di ordine.Stellata veramente fantastica: vado a fare due passi nell’aria fresca della sera (non è una battuta: di sera fa fresco sul serio) e poi vado a nanna, stasera anche ad un orario decente. È veramente domenica!!

 

21 novembre (13° giorno a Nanoro)Notte tranquilla, a parte la ricarica dell’anestetico al paziente operato alla spalla e una serie di asini che litigavano qua vicino. Il cateterino funziona!!! Il paziente non ha troppo male e il catetere non si è dislocato: un blocco interscalenico continuo non mi era mai riuscito a casa, mi viene in Africa: sarà un segno?Oggi sono andato con Maurizio, Piero, Ilaria ed Henri a Ouaga a fare un po’ di sano shopping turistico. A Ouaga non è che ci sia molto da vedere, ma il traffico è già uno spettacolo di per sé: qui riescono a viaggiare su qualsiasi veicolo a due ruote portandosi dietro di tutto. Abbiamo visto una bici praticamente sommersa da polli, uno con due maiali caricati sul portapacchi di una motoretta, gente che viaggia in bici o in moto con sacchi che farebbero invidia a babbo natale, robe incredibili. Ma non uno, due, sono a decine, centinaia, un macello senza paragoni, il tutto in un polverone mastodontico, gasando la città con scarichi azzurrognoli e senza rispettare un segnale.Pranzo dai padri camilliani di Ouaga, dove ho trascorso i primi giorni in attesa della valigia. Se lo ricordavano tutti ed erano molto contenti dell’arrivo del mio bagaglio, anche se continuano a dire Air Maroc ahi ahi ahi, come la pubblicità dell’Alpitour. È incredibile, con i camilliani il mangiare non manca mai, vai in un posto e c’è sempre un posto a tavola che ti aspetta. Che bello, ti senti veramente a casa!Dopo pranzo caffè in uno dei ristoranti di Ouaga, pieno di gente bianca, vedere bianchi in giro fa effetto!Shopping sfrenato in negozietti e mercatini dell’artigianato. Qui nei mercatini si contratta un po’ ma non troppo, nessuno ti infastidisce se non vuoi comprare e alla fine porti via un sacco di roba veramente con poco, altro che mercanti arabi! Vero che non si contratta troppo, ma al terzo acquisto ero già sfinito, un po’ per il viaggio, un po’ perché mercanteggiare stanca un sacco. Tra i vari acquisti abbiamo fatto un salto la Marina Market, supermercato gestito da Libanesi dove si trova di tutto, meglio che all’Ipercoop. Comprato il caffè Lavazza, che era finito, praticamente una tragedia!Ritorno a Nanoro tra il traffico serale di Ouaga, un bel viaggio sotto una magnifica stellata, che ha poco da invidiare a quelle dei primi giorni. L’harmattan, il vento dei giorni scorsi si è un po’ calmato, e il cielo sta pian piano tornando limpido.Dopo cena, giro dei malati con Henry, forse la parte migliore della giornata, a cercare di fare qualcosa di utile per tutti quegli occhioni che ti guardano speranzosi dai loro lettucci, tra odori che è meglio non descrivere e varie forme di vita che hanno poco a che vedere con un ospedale. Ma ho capito che questa è la medicina tropicale, e questo è uno dei migliori ospedali dell’Africa occidentale.Penso che una volta tornato a casa sarà molto difficile lamentarsi di qualcosa!

 

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