Questa mattina l’aria è più fresca del solito.
Erano giorni che non si respirava così bene, tanto che quasi me ne ero perso il ricordo. Tutto intorno alla tenda vedo solo rami, rocce nere e ancora rami. E poco oltre c’è il fango, e acqua, e ancora fango. Meno male che tredici giorni fa scelsi come dimora questa impercettibile altura tra gli enormi alberi di Kapok. Subito accendo il fuoco per scaldare qualcosa per colazione, che ne so, del the con biscotti sarebbe davvero il massimo… Lo sguardo va in direzione della macchina, sistemata poco sotto. Chissà se parte e chissà se, una volta accesa, potrà muoversi!? Perché altrimenti mi toccherà stare qui per chissà quanto ancora…
Tredici giorni prima avevo tracciato nella mia mente e poi sulla carta una linea che valicava queste cupe e selvagge montagne, per poi scendere fino alle foreste del Sud, attraverso gli impenetrabili grovigli di alberi di Teak e mangrovie, segnati da sottili vie d’acqua e punteggiati qua e là da piccoli villaggi Baka. Qualche momento di riflessione, un bel sospiro, e mi avviai… Ormai i chilometri non si contano più, perché non passano. Nessuna previsione potrà essere rispettata perché l’ambiente tutto intorno non ti rispetta, gioca per vincere. Le ore scorrono inesorabili, tra una buca e l’altra, ora immerso nel fango nero che blocca ogni movimento voluto, ora con ascia e machete in mano nel tentativo di liberare dalla vegetazione qualche metro di un’improbabile pista. La fatica è enorme, il sudore che scende attira nuvole di fastidiosi mut-mut, ma la sensazione che si ha ad essere li, solo, in quel mare verde, mi ripaga. Almeno fintanto che riesco a ragionare.
Ragionare… bel dilemma! Come si fa a restare saggi quando ad ogni metro fatto altri cento, più duri, ti si presentano davanti? E come si fa a rimanere padroni di sé quando il buio arriva prima di quando ti aspetti, e sei ancora in quel pantano fino alle cosce!? Tredici giorni e solo 30 chilometri… e non importa più quanti ne mancano, spero solo che questa fresca mattinata sia il preludio di un cambiamento, che tra poco la smetta di piovere, che il sole faccia la sua comparsa dato che così è sempre stato in questo periodo, per secoli, tranne in questi tredici stramaledetti giorni! Non vedo l’ora che i suoi raggi arroventati ridiano fiducia e vigore agli arti intirizziti e doloranti per il pesante lavoro… e che si asciughino le pozze almeno quel pò che serve per continuare.
ZOT!… Sono sotto la macchina, parcheggiata lungo l’assolato e caotico lungomare, con due nuove molle da montare, l’olio da sostituire, tutti i fissaggi da ripassare… e il frigo è pieno di bottiglie di Awooyo. L'aria frizzante del tropico mi porta un suono. L'avverto appena, è una nenia dolcissima… fatta di flauti di canna e gravi tamburi, voci ritmate di donne e bambini che ridono… Con la spalla sinistra mi asciugo il sudore, misurando il gesto, per non lasciarmi sfuggire una sola battuta di quell’armonia quando noto, con la coda dell’occhio, uno stemma ricamato sulla manica logora e unta di grasso: “Mud & Glory”.
Senza rendermi conto esco da li sotto, metto mano al frigo, me ne stappo una e bevo d’un fiato.
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