SABATO 20-3
Dopo un po' di giorni che si sta qui, si crea uno strano fenomeno spaziotemporale, per cui ogni giorno si fonde in quello che l'ha preceduto e che lo seguirà in un continuum soleggiato, polveroso e dal cielo grigio (non l'ho ancora visto una volta azzurro, dicono che devo scegliere un altro mese, per vederlo).
Sarà che i miei spostamenti non sono amplissimi e che in media divido le mie giornate in uno spazio di forse 400 m x 400 m. Sarà che i singoli istanti prendono il sopravvento sul tutto. O forse, semplicemente, bevo troppa birra. In ogni caso il giro visite trascorre tranquillo, sovrapponendosi a quelli dei giorni precedenti. Provo a chiedere ancora una volta se a Bassirou non si può togliere il sondino, suo acerrimo nemico, visto anche quel che serve, ma nessuno osa decidere niente senza Gino, anche se lui l'ha abbandonato da almeno due settimane, dopo l'insuccesso dell'intervento. Mi sento veramente un verme mentre mi guarda con sguardo complice e soddisfatto per la bevuta della sera prima. Per farmi perdonare mi sa che gli porterò un'altra fanta quanto prima.
Il pomeriggio, nonostante il tempaccio riesco a convincere pH a fare un giro in bici. Qui anche una giornata di sole può significare tempo brutto: basta che – come oggi- tiri vento e il cielo sia coperto di polvere. Il giardiniere dice che è la loro neve. In effetti la luce è proprio quella di una nevicata. Mancano solo i rumori ovattati e quel senso di calma, completamente rovinati da un vento incredibile che soffia in continuazione. Però la visibilità e buona, e così ci avventuriamo di nuovo verso Godo. Questa volta anziché al barrage, andiamo al dispensario. Il medico di guardia, che qui è un infermiere, majeur, è seduto davanti a casa che prende il te. E' una specie di rito, in cui si travasa il te un migliaio di volte da una brocchetta all'altra, finché non viene fuori una schiumarola un poco meno calda. Mi sa che è anche un modo per farlo durare di più. Ci sediamo con lui e la sua famiglia. Il bimbo più piccolo ovviamente si mette a piangere appena mi avvicino: devono piantarla con questa storia dell'uomo bianco che li porta via se non stanno buoni! Naturalmente tutti sanno che una settimana fa ho aiutato due donne al pozzo a prendere l'acqua: un po' come da noi ad Abbadia. C'è anche il capo del villaggio, che si riconosce da un copricapo stile islam piuttosto ricercato. Credo sia quasi cieco per la cataratta, e ne ho la conferma pochi minuti dopo, quando propone di costruire una caze per me lì da lui a Godo, che credo sia una specie di proposta di matrimonio. Rido, ma lui dice che questo significa che ho accettato. Da queste parti bisogna stare attenti. Però è magnanimo, può venire anche Daniele. Dopo di che mandiamo completamente in tilt Henri, costretto a destreggiarsi tra francese, more' e italiano, col bel risultato che parla a me in morè e al capo in italiano.
Terminiamo la nostra visita con il giro del dispensario, due stanze, vuote, più sei letti di degenza in un'altra stanza senza elettricità. Qua si fa tutto, dalle visite, ai parti, più o meno eutocici, ai ricoveri per tubercolosi. Pare ci sia una farmacia a fianco. C'è anche un frigo a gas per i vaccini, di cui il majeur va fierissimo. Han persino l'ambulanza, che consiste in un carretto con una specie di basto da attaccare a un asino o una moto, però tutta bianca con la sua brava croce rossa, molto in stile Bud Spencer e Terence Hill. Al crepuscolo ci avviamo di nuovo verso il CMA, andiamo tranquilli nel buio, discutendo di ebrei.
Al ritorno, doccia veloce, sono invitata a cena da Valeria, Laura ed Angela, la rappresentanza italiana in forza alla pediatria. Sono una specie di veterane, arrivate più di 2 mesi fa. Molto diverse tra loro: Laura si è burkinizzata, gira con le treccine, è quasi nera, e divide il suo tempo tra il reparto, il sonno e la buvette. Non si possono fare nemmeno 20 metri in Nanoro senza che qualcuno ti chieda di lei. Valeria è più riservata, e malinconica. Riesce ancora a piangere quando le muore un piccolino, cosa che accade circa una volta al giorno. Questa sera però si fa festa: ci sono gli infermieri della pediatria e qualche loro amico, tra cui Ambroise, l'odontotecnico tuttofare del CMA. Sono molto diversi tra loro, anche fisicamente. Sembra che qui la pelle chiara sia segno di bellezza. In questo senso Ambroise immagino sia un figo pazzesco. Per un po' ci divertiamo a fotografare tutte le nuances di pelle che sono rappresentate in casa, poi gli offriamo la bresaola della valtellina, o quel che ne resta. La mangiano tutta, ma qui sono talmente gentili che non si riesce mai a capire se è piaciuta o no. Chiudo la serata suonando il tamburo con Ambroise e dandogli la mail di Dani: darebbe non so che per imparare la protesica mobile.
DOMENICA 21-3
Primo giorno di primavera. Chissà cosa mi aspetto. In effetti forse fa un poco più fresco. Oggi torno a messa: l'altra volta non ero riuscita a fare foto, ma volevo scattarne comunque qualcuna per la nonna. Con me Valeria e Henri, che officia la messa e alle 9.05, mentre guida il gippone, mi spiega con un'occhiatina maliziosa che il prete non è mai in ritardo. Questa volta sono meno fortunata: nessuno mi invita sulla panchetta e seguo la cerimonia appoggiata al muro, vicino a un voluminoso signore con la camicia del presepe. Si accorge che non canto e così alza un po' la voce, per farmi sentire le parole. Le foto vengono uno schifo, perché mi vergogno troppo a scattarle.
Al ritorno, giusto il tempo per le condoglianze al marito e alla figlia della Togolaise, venuti in chiesa a sentire la messa in onore della defunta, il caffe', e poi si va in gita dal capo del villaggio. Ho chiesto, ma sembra che vada bene anche andarci in jeans e camicia. La sua è una delle pochissime case in muratura di Nanoro. Somiglia tanto a una cascina. Ci accoglie sulla porta, sorpresa, lo stesso signore della messa, che è il primo figlio di sa majesté. Se si guarda bene negli angoli del cortile, è possibile scovare qualche ragazzino, che quando viene beccato si affretta a inchinarsi. Poco più in là un assembramento di uomini, forse altri figli, zii, nipoti. Le donne non si vedono, ma sembra sia maleducazione chiedere. Veniamo accolti nel salone centrale sui divani in vera finta pelle di tigre e ci offrono da bere birra e sucrerie. Finalmente fa il suo ingresso il capo: un alto e dinoccolato signore tutto rugoso, con il volto da ranocchia. Sembra simpatico. Ci parla a lungo di Chieri, che è gemellata con Nanoro. È una specie di gazzettino ufficiale del paese: è perfettamente al corrente di qualunque cosa succeda o sia successa nel paese. Henri cerca con un certo successo di ubriacarmi, col bel risultato che perdo un po' di soggezione e finiamo a far la foto appollaiati tutti insieme a lui sulla poltrona.
Dopo pranzo ozio un po' davanti al refettorio, a giocare con una bimba figlia di sordomuti che, chissà perché, ha scelto proprio me per confidare tutte le sue storie..in morè. E meno male che i camilli si preoccupavano che non parlasse! Io le rispondo italiano, cosa che non sembra disturbarla. La mamma intanto si schianta dalle risate. A seguire, corvée: mi tocca il ménage e il bucato. Questa volta ho la meglio io sul solito ragno gigante, e lo caccio fuori a colpi di ramazza.
LUNEDI' 22-3
L'idea era un rapido giro visita e poi un po' di formazione con gli anestesisti. Ieri sera sono di nuovo stata su fino all'ora beata a preparare diapo in francese, ma ovviamente ci sono altre cinquecento cose da fare. Somè poi è ko per il raffreddore, quindi non posso neanche contare sul suo appoggio. In compenso questa settimana è in lista tutta una serie di pazienti rognosi, così passo il resto della mattinata a fare ECG ed EGA preoperatori. Mi sembra di capire che l'apparecchio sia lì da anni, ma che nessuno lo usi, perché non sanno dove attaccare gli elettrodi. Alla fine viene fuori che il problema sono i colori: non li distinguono. Non che siano tutti daltonici, solo non esistono i nomi per indicarli, visto che in morè si usa quello di un animale o una pianta che ci somigli. Per esempio il verde è la foglia del baobab appena germogliata, il che complica un po' la vita a tutti, perché di fatto è verzolina venata di giallo. Ecco perché in sala mi mettevano sempre l'elettrodo verde al posto del giallo! Il secondo problema è che non c'è nessuno che sappia interpretarlo, così mi improvviso. Evidentemente recito bene, perché Ramdè si appassiona a tal punto, che ci ritroviamo romaticamente al crepuscolo seduti sulla panchina a leggere l'ECG di Djibril. Questa davvero mi mancava.
La piccola Lucie è partita col suo papà. Ci mancherà. Speravo di arrivare in tempo per lasciarle una piccola scorta di bolle di sapone, ma alle sette è già via, e ieri sera dormiva saporitamente in terra, accovacciata sul telo vicino alla mamma, così nessuno ha avuto il cuore di svegliarla.
Dopo pranzo guadagno la stanza per qualche minuto. Nel tragitto incrocio il giardiniere: nonostante tutti i tentativi di Matteo che gli aveva persino regalato un cappellino da baseball, resta fedele al suo cappello di lana zafferano col ponpon. In fondo sono le 1430 e ci sono solo 43 gradi all'ombra. Gli porto una bottiglia di acqua fresca. Almeno quella l'accetta. In un buffo francese, complicato dal fatto che non credo abbia più di due denti, inizia a darmi ripetizioni private di morè. Mi chiama biiga, figlia, dunque lui è mio babà. Per un attimo ho la visione del giardiniere a testa in giù coperto di rum servito nel suo cappello zafferano col ponpon. Devo smetterla di bere la birra a pranzo. Comunque qui le parentele sono una faccenda seria. Di fatto non l'ho ancora capita tutta, ma è segno di rispetto e amicizia chiamare qualcuno con un titolo di parentela. E una volta che te l'hanno appioppato non te lo togli più. Per esempio Damiba, la signora con l'artrosi della categorie (il reparto di lusso, una specie di pensionato), si ostina a chiamarmi nuora, cosa che piace moltissimo a Henri, che si diverte a buttarmi in pasto a mia suocera a qualunque ora del giorno e della notte per vedere che faccia fa. Lui sostiene che a lei faccia piacerissimo essere svegliata da me nel cuore della notte, ma questa non me la bevo. In ogni caso, quando qualcuno ti parla di suo fratello piccolo, di suo zio o suo padre, non sai mai se si tratta di un parente vero o acquisito per amicizia. La cosa più stramba è che loro invece sembrano capirlo sempre e l'unica che resta ogni volta interdetta di fronte a padri con la metà dell'età dei figli o viceversa sono io. Se a questo aggiungiamo che i mossi considerano loro nonni i daghara, si può ben immaginare il casino.
Nel pomeriggio riunione di programmazione delle attività della settimana. La tensione è palpabile: Gino vorrebbe fare un intervento superdemolitivo in un paziente con prognosi infausta. Gli altri preferirebbero evitarlo e nessuno osa affrontare il problema. Tutto il mondo è paese. Alla fine il frère Sorgho, che parla poco ma fa molto, decide che l'intervento lo rinvia lui in qualità di direttore e che parlerà col paziente. Pant.
La sera approfitto della connessione internet per scaricare La buona novella di DeAndrè a Henri. Chissà. In fondo ho appena scoperto che è un appassionato di Grey's Anathomy. Toccherà iniziarlo a Scrubs...
MARTEDI' 23-3.
Oggi c'è maretta in sala: Gino tenta a più riprese, prima con l'inganno e poi con la forza, di far entrare in sala il paziente rinviato ieri. Quando capisce che non c'è verso, prende e se ne va, offeso. Somè fa sapere che lui sarà offeso domattina dalle ore 8 alle 12. Noi però abbiamo troppo da fare per seguire la telenovela: secondo blocco caudale di Somè (alla grande), più due blocchi ascellari di cui uno su una bimbina che ha infilato il dito nel posto sbagliato ed è stata morsa da un serpente: devono amputarglielo, è necrotico. In più sono arrivati i nuovi stagisti in anestesia: decido che siamo troppi in sala e vado a dedicarmi al magazzino, con buona pace di suor Augustine, che sembra un poco offesa, ma non abbastanza per aiutarmi a fare il lavoro di riordino.
Sono arrivati due ventilatori per anestesia dall'Italia: con frère Sorgho passiamo il pomeriggio a tentare di montarli, anche se manca il manuale d'istruzioni. Uno sembra davvero bello, con la pressometrica e il monitoraggio degli espirati, ma non ne vuole sapere di funzionare, le ho provate davvero tutte. Alla fine mi arrendo e chiedo aiuto via mail. All'altro però manca solo più il vaporizzatore dell'alotano e qualcuno disposto a far da cavia. Scopro così un'altra dote del fratello: è dotato di una forza disumana, meglio non litigarci!
Sarebbe il pomeriggio giusto per un giro in bici, ma pH è sparito, a volte riesce ad essere davvero misterioso. O forse mi sono solo abituata a vederlo sempre lì e mi dimentico degli spazi privati che ci sono nella vita di ognuno di noi.
La sera Bassirou è triste, neanche la fanta lo consola più. Il suo unico desiderio è togliere il sondino nasodigiunale, ma senza l'ok di Gino che l'ha operato non si può fare, e oggi non è tanto la giornata. Gli prometto che insisterò coi chirurghi. Almeno questo.
MERCOLEDI' 24-3.
A volte mi vien da pensare che l'Africa sia una specie di iperbole della vita: le cose qui, nel bene e nel male, avvengono sempre alla massima potenza: in un contesto diverso sembrerebbero assurde, qui è la norma. Così al mattino in sala Hatto ha intubato la prima paziente col gozzo di oggi, Yeyè è lavato e aspettano Gino per iniziare l'intervento. Alle 830 di Gino non c'è traccia, al telefono non risponde e in casa non si fa trovare. Alla fine si degna di far sapere che lui preferisce far la tiroidectomia come ultimo intervento, perché i risvegli sono lenti, di svegliare (sic) la paziente. La cosa assurda in tutto questo è che nessuno lo manda a cagare. Riesco a bloccare quel tonno di Hatto un nanosecondo prima che estubi la paziente (per una volta che l'avevo convinto a non farle il decuplo della ketamina e che quindi si stava già svegliando!), Yeyè ha il solito sguardo serafico di sempre, Somè fa finta di essere occupatissimo nella sala a fianco e tutti gli altri ridacchiano. Solo pH si slava, e parte a testa bassa incazzato come un toro alla volta di Gino. Per un attimo penso alla mole di avemarie che dovrà recitare dopo l'incontro. Alla fine la paziente è operata da Henri e Yeyè, tra l'altro benissimo. La sala procede con gli interventi fattibili, vista la situazione, e con me sempre più in difficoltà con Hatto: non capisco se se la batte perché gli do fastidio o per approfittare della mia presenza. Vorrei montare il circuito chiuso, ma non si fida. Ne approfitto per ripassare con Ramdè l'ECG, cosa che fa ancora più imbestialire l'altro. In cambio Ramdè mi propone di portarmi a Izongho, il suo villaggio natale, darmi il suo cognome e battezzarmi. È una specie di paradiso in terra, pieno di manghi e fontane. Potrebbe venire anche mio marito, cui però conta di imporre un nome che, a seconda di chi lo traduce significa leone della foresta oppure lazzarone. Prendo tempo...
Dopo la sala per consolarmi un po' vado a caccia delle pediatre: sono alle prese con Justin e Justine, 2 gemelli di 9 mesi: 9 kili lui, 3 lei. Qui l'emancipazione femminile è un problema che ti tocca da vicino fin da piccola. La madre ne approfitta per battersela: deve averne viste di cotte e di crude pure lei.
GIOVEDI' 25-3.
Dopo gli avvenimenti di ieri, oggi non può essere una giornata tranquilla. Molti degli infermieri che lavorano in sala hanno una sorta di venerazione per Gino, tanti altri lo temono. Non si sentono di operare senza il suo appoggio morale. Così si inventano una balla clamorosa e si rifiutano di entrare in sala, perché senza l'approvazione del Chirurgien en Chef non hanno la copertura assicurativa. Gino convoca una piccola delegazione di suo gradimento per decidere il da farsi, poi viene convocato lui dai camilliani, che sanno essere tanto duri quanto gentili. Qui aime bien chatille bien, dice père George, chi vuol bene, picchia duro. Anche se io capisco Qui aime bien, chatouille bien e resto lì un po' persa a chiedermi perché mai si deve fare il solletico a chi ci è caro.
Dopo tanta manfrina si inizia a operare, con Gino, alle 11 e si finisce dopo le 18, così addio giro in bici anche oggi. Col buio è comunque piuttosto pesante, non c'è neanche una gran luna. Oltretutto sono piuttosto provata, visto che hanno infilato oggi tutti i pazienti più rognosi, e ho fatto i salti mortali tra un ciccione con 2,7 di potassio e l'insufficienza di pompa (mai desiderato tanto una fialetta di amiodarone) e Lasmanè, un dolcissimo bambino sempre sorridente con una massa laterocervicale così grossa che sembra avere due teste e, soprattutto, non riesce quasi ad aprire la bocca, tutta deviata dalla massa. Ovviamente no c-trach, no glidescope, no fibroscopio e pila piuttosto scarica della lama lunga. Qui l'anésthésie tropicale rivela tutto il suo potere: emla sulla massa dove devono biopsiare (ancora grazie alla solita stanza dei miracoli: a volte ho l'impressione che, se ho veramente bisogno di qualcosa, la troverò lì sicuramente), ketamina per mantenere il respiro spontaneo, una spruzzatina di valium, fentanyl a piacere, ossigeno finché non si accende l'elettrobisturi e tanto tanto bel cortisone. Quando si sveglia sorride di nuovo. E a me si annoda lo stomaco.
Tutto questo era troppo anche per il delirio di onnipotenza di Hatto, che si è rifugiato nella sala piccola, solitamente patria di Somè. Così riesco finalmente a far partire il jolly 2 in circuito chiuso.. e per una volta non mi addormento insieme al paziente a colpi di alotano, visto che i gas espirati li scarichiamo in sala.
Yeyè ha intercesso per me presso Gino, e così il pomeriggio liberiamo finalmente Bassirou dal suo nemico sondino. Come temevo si aspettava troppo da questo gesto: i decubiti nel cavo orale gli impediscono ancora di gustarsi la fanta. Comincio a chiedermi se non sto ricadendo nell'accanimento terapeutico, con tutte quelle calorie in parenterale. La sera la passo ancora una volta a preparare diapositive in francese: sto sviluppando una certa avversione per le caselle di testo...
VENERDI' 26-3
In ogni viaggio, in ogni esperienza, in ogni percorso di vita arriva un momento in cui si perde la fiducia e ci si abbandona alla malinconia. Perché a me sia successo oggi proprio non lo capisco. Forse è semplicemente quel che non succede. I semini che ho piantato che non germogliano ancora, per quanto li bagni con cura. Somè malato che non ha voglia di fare la formazione, Hatto -che a questo punto penso che se non tira di coca, allora sniffa la colla- che se ne approfitta apertamente di me e riesce pure a sfottermi per questo (in ogni caso il CMA ringrazia, vista la quantità di ketamina risparmiata). Bassirou che dimagrisce, per quanto ogni volta sembri impossibile che possa diventar più magro di così. I 400 metri quadri in cui si svolge la mia vita che cominciano a essere sempre quelli. Le ore di sonno rubate da diapositive che nessuno leggerà mai. Henri sempre più gotico che parla per parabole che io puntualmente non capisco, sommando incomprensione a incomprensione. E sì che tra zia Maria e la nonna ho un certo allenamento! Certo la scenata che mi fa Gino non dà una mano, è incredibile come riesca a colpir basso senza conoscermi. E come io riesca a sentirmi in colpa anche quando ho ragione. In ogni caso non rispondo, tanto non mi ascolta e tutto sommato se se la prende con me è molto meglio. Secca un po' che la viva come una vittoria e se ne parta per l'Italia tutto gongolante, ma fantastico di un giorno in cui mi verrà in mente una risposta secca e salace, e allora prenderò un aereo e un taxi-brousse, mi presenterò alla sua porta, gliela butterò in faccia e poi, girati i tacchi, prenderò la via del ritorno cercando di dare alla mia schiena la massima dignità. Nel frattempo guardo in alto e ricaccio le lacrime.
Per fortuna questi momenti qua non mi durano mai troppo. È il sms di Valeria che dà il la: domani c'è posto anche per me sulla Nissan Nazara, si va a Ouaga! E poi alle 15 ci troviamo per la formazione, frère Hermann, detto superfratello, attaché en chirurgie dall'animo troppo gentile che stiamo conquistando alla causa dell'anestesia, ha persino trovato un proiettore. E poi mi chiama Ambroise per uscire stasera.
La formazione è pesante, ma riesce abbastanza bene. Riusciamo a scrivere il famoso Protocole Morphine, un piccolo passo per la scienza ma un grosso passo per noi. Facciamo una specie di via di mezzo tra BLS e ALS in versione tropicale, cioè tenuto conto di quel che manca. Madame Bicaba, la mia stagista, estrae da una piega imprecisata del vestito (completino di Nostra Signora dell'Assunzione, verde e blu coi fumetti) una pennetta USB, chiedendo con tono perentorio copia dei file. Le copierei tutto il computer, ma per adesso devo accontentarmi di spegnerlo, visto che la via crucis interrompe per la seconda volta di fila la sessione di formazione.
Questa sera ore ventuno appuntamento con Ambroise sotto la statua di san Camillo. Pensavo venissero anche le pediatre con me, ma mi paccano. Speriamo bene. In fondo è la terra degli uomini integri. E infatti Ambroise si presenta con un amico. Mi carica sulla mobilette e si parte per la buvette: trooppo forte! Temevo una serata imbarazzante, fatta di silenzi e di luoghi comuni. E invece scopro di avere un sacco di cose da raccontarmi con Ambroise. Il suo amico parla poco, ma capisce anche quel che non dico e quel che racconta è sempre interessante. È una specie di alter ego di mio marito: fanno lo stesso lavoro e hanno la stessa età, solo che Ambroise ha tre figli, il più grande fa il liceo. Vaticina che presto ne avrò qualcuno anch'io. Io vado avanti a bere birra Brakina e a mangiarmi il polletto arrosto con le dita, finalmente in pace col mondo.
SABATO 27-3
Già sono in ritardo, che ieri sera mi sono scordata di portare le sacche nutrizionali da Bassirou, in più mi chiama pH per chiedermi di far le glicemie di mia suocera e del vecchio della prima stanza, quello che dorme sempre fuori per terra anche se ha il posto nel letto. Insomma, tanto per cambiare arrivo all'ultimo minuto. Ingoio una colazione al volo e poi via, a bordo della Nissan Nazara nuova di pacca, guidata da un don Pietro gasatissimo. In un'ora e mezza siamo a Ouaga. Il viaggio rischia di finire al secondo posto di blocco della polizia, visto che ci manca giusto un piccolo dettaglio: la targa. Ma alla fine, saputo che don Pietro deve dir messa alle 10, il poliziotto si arrende a un'Autorità superiore e ci lascia ripartire. Appena scese dall'auto siamo sommerse da venditori, guide autoproposte e non richieste, bimbi che chiedono soldi. Abituata a Nanoro cerco di dare una risposta a ogni domanda, ma qui sono più insistenti, sanno che abbiamo più soldi di loro, li vogliono e non mollano. A un certo punto Valeria, Laura e Angela, già abituate, insorgono: se continuo a dar retta a tutti non ce ne libereremo mai. Ci rifugiamo al Marina Market: erano tre settimane che non vedevo un supermercato, non credevo potesse emozionarmi tanto la vista degli scaffali pieni di roba. Dopo un tentativo infruttuoso di visita alla moschea, affrontiamo il mercato. I prezzi dei pagni sono il quintuplo che a Nanoro, e questo mi incoraggia a trattare. A volte sono addirittura loro a chiedertelo, se no che gusto c'è? Mi guadagno il pagno rosso della festa della donna per 1750 CFA, che diventano poi 2000 al momento di dare il resto. Dai 15000 iniziali non c'è male! Provo più o meno tutte le maglie di una bancarella di vestiti tipici e faccio una foto al sarto, “riparazioni immediate”. Ci infiliamo in una librairie, cioè una specie di cartoleria. È divertente, i colori sono tanti, ma la gente è davvero più aggressiva: “faut pas dire merci si tu achètes pas”, “avant de prendre une photo, il faut payer”, “elles croyent de tout savoir, alors qu'elles ne savent rien”. E tante altre che non ho sentito. Valeria è la prima a crollare, ma io la seguo a ruota, e così ci rifugiamo al Verdoyant, angolo di pace dietro la rotonda delle Nazioni Unite, dove la coppa gelato allo zenzero mi sembra l'ottava meraviglia del mondo. A seguire, taxi fino al village artisanal, dove do fondo a tutti i miei risparmi, più parte di quelli di Laura. Va detto che finora non ho ancora dovuto acquistare quasi niente, così non ho ancora ben chiaro il valore dei prodotti qui in Burkina. A occhio però mi sembra che rispetto agli stipendi qui le cose costino parecchio più che in Italia. La gente di qua dice che i giorni del mese con due cifre sono difficili. Col taxista discutiamo a lungo di Thomas Sankara, che lui disprezza per non aver mai nemmeno costruito una casa a due piani. L'argomento, sembra di capire, è ancora scottante. La successiva caccia al museo della musica si rivela infruttuosa: è in restauro c'è solo un operaio che dorme in cantiere. Aspettiamo père Henri al Jardin dell'Amitiè e approfittiamo del suo ritardo per un po' di spesa al Marina Market che accetta anche gli euro. La cena è ottima, la compagnia anche: siamo rimasti Valeria, Henri ed io. Peccato la musica fortissima. Accompagniamo Valeria all'aeroporto, dove recupera Manrico, il moroso che non vedeva da 3 mesi, e li lasciamo tornare a Nanoro con don Pietro. Noi invece andiamo dai camilliani di Ouaga. È un'idea di Henri. Solo mi sono dimenticata di chiedergli perché.
DOMENICA 28-3
Giornata africana, passata ad aspettare non si sa bene cosa. Aspetto Henri per andare a messa. Aspetto che finisca la messa. Aspetto che sia ora di pranzare coi camilli di Ouaga. Aspetto, morendo di imbarazzo per la mia invadenza, che Henri finisca di rendere visita e di curare tutte le sue zie. Aspetto che vada giù il caldo per ripartire per Nanoro.
Però in fondo non è male. La messa della domenica delle palme è in grande stile, un po' ingenua e un po' kitch, con la recita dell'ultima cena con tutte le voci e i coretti degli apostoli, gli urletti stile apache della folla entusiasta che sventola la foglia di cocco, appena benedetta in cortile, i cori accompagnati dalla chitarra.
E poi, complice un grave errore sequenziale in una catena di recupero/restituzione macchine per cui ci ritroviamo con due padri e tre auto, guido in Ouaga. Faccio presente che non ho la patente, ma né Henri né George si scompongono: è domenica. Henri guarda per un po' con fare pensoso le due vetture, la berlina di suo fratello e il superbagong Nissan Stuprator col paravacche dei camilliani e decide che è meglio che io guidi il superbagong. Credo per via del portachiavi con la croce che sicuramente mi proteggerà. In ogni caso, memore del viaggio di Andrea, indago su quella strana leva orizzontale e scopro che trattasi del freno a mano..ma tanto che problema c'è? Io sono abituata alla yaris! E poi via, per le strade della capitale, alcune asfaltate, altre no, a far lo slalom tra bici che trasportano qualunque cosa, carretti tirati dall'asino, auto, motorini e quant'altro. Riesco a farla spegnere solo una volta, quando siamo già a destinazione.
Il viaggio di ritorno mi permette di gustare il ghiacciolo locale (assolutamente perdibile), di acchiappare per un braccio un bimbo più basso del mio ginocchio subito prima che si faccia asfaltare dalle macchine su rue dell'indipendence (ovviamente dopo ha urlato a sirena per un quarto d'ora) e di guardare ancora un po' di savana, prima di crollare addormentata cullata dai sobbalzi sulla pista da Boussè a Nanoro. La sera mostrerò le foto a Bassirou.
LUNEDI 29-3
Sembra impossibile, ma riusciamo a trovarci anche oggi per la formazione, questa volta animata con gran successo da Angela che si offre come manichino per i casi simulati di ALS. Ritrovo qua il vecchio defibrillatore della tango 91 dei miei 18 anni: ovviamente mancano gli elettrodi, ma l'emozione è la stessa, e comunque si può leggere dalle piastre. Riusciamo persino a parlare di EGA e CVC. Per sicurezza Sorgho mi organizza subito un'altra sessione per domattina alle 10 con il personale della Medicina.
Prima e dopo riunione fiume con Sorgho ed Henri per stendere la convenzione tra Rainbow e il CMA. Se mai mi fossi dimenticata perché avevo abbandonato i miei studi di giurisprudenza, ecco una buona occasione per ricordarmelo. Dopo 5 ore no stop, dopo essermi scontrata con Henri che è quasi più cocciuto di me, ma -appunto- soltanto quasi, dopo un mal di testa feroce, riusciamo a venirne a capo.
La sera Bassirou va peggio, sembra stia diventando settico. Non riesco a smettere di pensare che sono le mie sacche a prolungargli l'agonia.
MARTEDI 30-3
Ormai sento la partenza. Lucie è partita, Ramdè parte domani, Bassirou -anche se oggi era decisamente più sereno- sembra avviato verso un lungo viaggio, qualcuno ha persino raccolto i due manghi giganti di cui seguivo la maturazione dal mio arrivo (tra l'altro, erano ancora acerbi, puzzoni!), anch'io devo andare. Se penso al magone che avevo prima di partire, mi fa buffo provare lo stesso adesso. È che quando parti perché non stai bene dove stai, l'insoddisfazione non ti lascerà nemmeno dove arriverai, ma quando parti anche se stai bene dove stai forse succede il contrario, e così stai bene anche dove arrivi.
Però mentre frugo per l'ennesima volta in uno scatolone con dentro di tutto a caccia di un deflussore, mentre cerco di convincere i parenti di un paziente disidratato che se hanno prescritto 6 flebo non basta farne 2, mentre guardo Somè, abbandonato da Mesmin che non è rientrato da Ouaga e da Hatto che se n'è già andato, mentre cerco le parole per spiegare a Bassirou perché non può mettersi seduto, cerco di convincermi che questo non è il mio mondo, che non ci sono le montagne, il vino rosso, la gente non parla in piemontese e alla lunga non riuscirei più a reggere tutta questa polvere. Poi però arriva Ramdè con l'equazione di Hendelsson-Hasselbach e ridiamo ancora a lungo ipotizzando l'apertura di un CMA a Imazgho, con annesso un mio stage di un mese; poi il docteur Kaborè, che in realtà è una dottoressa, finita la mia formazione sull'arresto cardiaco in Medicina, mi chiede la mail e mi invita alla sua festa di onomastico; poi incrocio George che con la sua dolcezza riesce sempre a farmi ridere e a tirar fuori il meglio di me; poi scherzo con Djalga, Yeyè, Soso e Zongho e incrocio lo sguardo di Henri che mi dice che proprio nessuno giovedì andrà a Ouaga e quindi mi tocca restare qui un altro mese, e allora diventa più difficile. La verità è che la mia vita non è qua, è a casa mia, accanto a Daniele, arricchita da un'ineffabile esperienza che sicuramente ha cambiato per sempre il mio modo di vedere le persone, le difficoltà e la bellezza che mi circondano. Spero che i miei semini crescano e possano fare un po' d'ombra dove serve. Faccio un po' di foto in sala, come se ne avessi bisogno per ricordare. Faccio la prima spinale a un bimbo di 10 anni che voleva a tutti i costi che fosse la bianca a fargliela (mai più), ripasso interpretazione ECG, diagnosi e terapia di tutte le aritmie in ben trenta minuti con un volenterosissimo stagista, verifico ancora una volta che i ventilatori che ho montato funzionino e concludo la serata con la festa di Gladys (Kaborè). Tra il sonno e l'alotano mi capita sempre più spesso di crollare addormentata nei momenti più imbarazzanti, ma non è ora che intendo riposarmi. Anzi, fosse finita prima la sala, ci stava pure il giro in bici, ma questa storia la conoscete già! ;-)
MERCOLEDI' 31-3
Siccome non è ancora sorto il sole, posso solo scrivere quel che intendo fare oggi, ultimo giorno:
Tutto non si potrà, ma un'altra cosa che ho imparato è che si fa quel che si può e che il cuore conta più di quel che si crede. Adesso basta che mi sento melensa e sto per tornare in un posto dove certe cose non si dicono.
Barka.